Reggina, analisi di un successo societario

Franco Gagliardi, Diego Zanin
Franco Gagliardi, Diego Zanin

È una Reggina che sembra aver intrapreso un cammino, lungo e pieno di insidie, ma che sembra essere quello giusto per la via della risalita, quella che continua i propri allenamenti sotto la guida attenta dello staff tecnico capeggiato da Franco Gagliardi.

Inutile ipotizzare formazioni e possibili evoluzioni tattiche in vista della trasferta di Castellammare di Stabia, le porte chiuse non lo consentono. Quello che però è possibile fare, è una rapida analisi di quello che è successo dal raduno di gennaio in poi, col cambio in panchina, il terzo della stagione, e con alcune partenze di giocatori che hanno preferito trovare spazio altrove.

I giocatori rimasti hanno avuto un netto beneficio dagli eventi, e questo si riflette in campo nella compattezza della squadra, negli uomini che finalmente hanno un rendimento all’altezza delle aspettative, e, cosa da non sottovalutare, nel dopo partita, quando giocatori sorridenti parlano di famiglia e di “giocatori che si aiutano l’un l’altro”. Era da troppo tempo che non accadeva.

Il presidente Foti
Il presidente Foti

Il cambio in panchina – Il presidente Lillo Foti, dopo aver sorpreso tutti richiamando Gianluca Atzori a guidare la Reggina, ha forse capito l’errore, che noi abbiamo sempre indicato, e con un gesto di coraggio, ma dettato anche da evidenti problemi di liquidità, ha ri-esonerato il tecnico di Collepardo chiamando in panchina l’allora tecnico della primavera, Diego Zanin, a cui ha affiancato il motivatore Franco Gagliardi, munito del necessario patentino per allenare. I primi passi del neo staff tecnico (ne fanno parte anche Saffioti e Grilli) è stato quello di far partire alcuni giocatori non abbastanza motivati: pensiamo a Gentili, Cocco, Falco che forse avrebbe meritato maggior spazio, Caballero, mai impiegato, e Rigoni, scambiato con Dumitru. Il secondo passo, è stato quello di dare la giusta attenzione ai calciatori, responsabilizzandoli per quello che è giusto fare, togliendo loro la colpa di errori altrui. Solo dopo si è passato alle cose riguardanti il calcio giocato, al modo di stare in campo, ai movimenti da fare e a come gestire il pallone. Di tutto questo va dato atto ai tecnici tutti, che hanno fatto rinascere dei calciatori che alcuni, non tutti, davano per spacciati.

Le porte chiuse – Le porte chiuse non sono una novità della nuova gestione tecnica. Noi le abbiamo sempre criticate, perché allontanano la squadra dalla città, più di quanto oggi la gente non sia già lontana dalla sua Reggina. Ma non possiamo non notare che agli allenamenti, oltre a parte della stampa, c’è sempre stata una presenza di una decina di tifosi al massimo, segno che lo scollamento tra la squadra e il suo pubblico, si riflette ormai anche nella sfera emotiva e di tifo, una volta ben cementata a Reggio Calabria. Ricordiamo con un pizzico di nostalgia il vecchio stadio comunale pieno anche in Serie C2. Le porte chiuse, dicevamo, sono state in questo mese e mezzo, per la prima volta in due anni, utili a cementare il gruppo e a riportare il sereno nello spogliatoio, che ci è sempre apparso diviso e mai un blocco unico e unito. Per la prima volta, inoltre, vediamo che società, staff tecnico e giocatori remano tutti nella stessa direzione con una comunità di vedute sul futuro prossimo della squadra. Di questo diamo atto alla società, e al suo patron Lillo Foti, che contro tutto e tutti, ha insistito nella linea. Non la condividiamo a pieno, ma ne vediamo i frutti e questo ci basta.

La rivoluzione tecnico/tattica – La Reggina gioca bene e gioca da squadra. Non lo lo aveva mai fatto in questa stagione, salvo, secondo noi, la breve esperienza di Fabrizio Castori in sella alla panchina amaranto, pur in assenza totale di risultati e con la permanenza delle divisioni interne allo spogliatoio. Il presidente Foti, preso atto del perdurare della situazione, e fattosi convincere dalle sirene che ne reclamavano il ritorno in panchina ha richiamato il tecnico esonerato appena un paio di mesi prima. Ma la mossa non è stata delle più felici. Gianluca Atzori, con una serie di voli pindarici, alternava dichiarazioni di completa fiducia nel gruppo: “Sono tornato perché credo nei ragazzi”, a dichiarazioni di completa sfiducia nei giocatori: “Servono almeno cinque o sei rinforzi per salvarci”. Questo susseguirsi di dichiarazioni, non faceva che porre su due piani distinti e separati la società e il suo tecnico, che infatti alla fine hanno finito per prendere due strade diverse. Con piccole code polemiche ma con tanto bisogno di lavorare per tornare almeno a galleggiare, per non affondare a metà della strada, che oggi separa la Reggina dalla terraferma della salvezza. La nuova guida tecnica di Zanin e Gagliardi, l’ordine dei nomi è invertito non a caso, ha semplicemente fatto quello che ogni bravo allenatore dovrebbe fare: guardare al proprio interno e misurare le risorse a propria disposizione. Da questa prima analisi sono arrivati l’esordio di Pambou, ottimo a Bari e poi in casa contro il Lanciano, e la promessa di nuovi inserimenti in prima squadra dalla rosa della primavera. Memorabili poi le dichiarazioni di Gagliardi, al termine di Reggina-Lanciano, quando alle tv dice: “Lucioni, Adejo, Ipsa, Barillà, vorrei vedere chi in serie B può contare su una linea difensiva come la nostra”. Il lavoro del tecnico è poi proseguito nell’insegnare ai calciatori i movimenti che non sono stati mai messi in atto con la precedente gestione. Il centrocampo corto sulla linea di difesa, i giusti spazi tra i reparti, le punte che tornano a coprire sistematicamente il centrocampista che si affaccia in area avversaria. Per non dimenticare poi quella che è la principale opera svolta dai tenici: dare una scossa ad una squadra “in stato comatoso”.

La Regginità – La Reggina in passato ha sempre giocato da Reggina. Ha sempre cioè reso la vita difficile a tutti coloro che ha incontrato perché chi vi giocava sapeva di far parte di un progetto solido e con una identità ben precisa. Questa consapevolezza mancava al S. Agata da troppo tempo ed è strano che a ribadire e rafforzare il concetto è stato un avvocato cosentino. Il ritorno di Nino Barillà, con le sue spallate rifilate a Bari e contro il Lanciano, è l’emblema del ritorno del gruppo e dell’unione di intenti che animerà il resto della stagione. Il suo gol contro il Lanciano, è la ciliegina sulla torta. Non è un caso se oggi si parla di Famiglia e non più di gruppo.